Fin dalla prime battute di Ettore Scola sul palcoscenico del Politeama, ho pensato distrattamente – perché confesso la scarsa attenzione che ho prestato alle stesse – alle polemiche suscitate dalla volontà di conferirgli la cittadinanza onoraria di Viareggio.
Per un attimo mi sono chiesto se la natura polemica potesse vertere esclusivamente sul fatto di dargliene 1 o 3 (la soluzione più tifosamente calcistica).
In realtà ho capito che era polemica di intelligenza: da una parte gli “idioti” che si opponevano all’onorificenza e dall’altra gli “avari” che gli hanno tributato “un solo onore”…
Si, perché alla fine della proiezione del suo omaggio all’amico Fellini, Scola si rivela uomo dal cuore enorme (forse lo sapevamo già dalla sua filmografia) e testimone ultrafine di una modalità affettiva fondamentale che si chiama amicizia: dunque di cittadinanze orarie ne meritava 3! Sono valori oggi dimenticati.
Ora mi commuovo. Conoscevamo tutti l’importanza di Scola come regista, un po’ meno forse sapevamo dell’abilità di Scola nel rappresentare e mostrarci la possibilità di nobilitare il termine “complicità” (intellettuale) e strapparlo all’uso distorto con cui oggi il mondo politico in particolare ce lo suggerisce: solo nel senso di “collusione” (materiale). Grazie Scola, grazie Viareggio: Viareggio era la meta.