Forse mai un direttore generale anomalo fu più azzeccato perché occorre capire che quanto sto per dire non è suffragato da una conoscenza dell’individuo bensì da un’impressione, e qui trattiamo spesso di impressioni.
L’appeal del sistema bancario oggi non è mai stato così degradato nella coscienza comune ma incontrare Alberto Silvano Piacentini equivale a farsi una chiacchierata con un fratello maggiore.
Le sue incertezze sono umane, il suo modo di raccontare si sforza di comprendere l’ignoranza dell’interlocutore, il suo parlare del sistema bancario include il disappunto per alcune regole europee o propriamente italiane alquanto discutibili. In questo caso il riferimento è evidente verso le regole che impongono sostanzialmente un accorpamento del sistema bancario non sempre scevro di interessi particolari.
È un uomo che crede profondamente nella sapienza dell’interlocutore, che crede nell’educazione, nella cultura.
Alla domanda “quanto avete investito in formazione?” risponde candidamente che lui da direttore generale almeno non ha ridotto l’investimento negli ultimi anni, il che equivale a dire che, rispetto agli altri, l’impegno è confermato.
Una sola crepa evidente ho notato, cioè quando cercando informazioni sull’impegno della banca (la Carismi di San Miniato) nei confronti della conoscenza del territorio (data quasi per scontata viste le intenzioni dell’individuo) in pratica ho ottenuto di sapere che la banca stessa non ha una squadra dedicata alla conoscenza del territorio in cui opera, alla conoscenza delle persone che abitano quel territorio, alla conoscenza dei problemi e delle necessità di quella comunità. Forse questo è l’unico neo che ha sfiorato l’incontro. Quand’è che le banche si renderanno conto che il rapporto locale non può essere sacrificato, per esigenza di profitto, al rapporto globale?
[PS: un grazie a Aldo Grandi e al suo corso di giornalismo]